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Ballare per vivere, l'altra medicina contro il cancro

Ballare per vivere, l'altra medicina contro il cancro

di Carmen Tancredi
Articolo pubblicato sull'Eco di Bergamo, 28 dicembre 2014

Sedute di «Biodanza» per donne operate al seno. «Così si cura anche la psiche, e si fanno amicizie».

Tornare a vivere dopo il cancro al seno: non è sempre possibile immaginare e soprattutto descrivere cosa comporta per una donna subire un intervento , più o meno demolitivo, per la rimozione di un tumore simile, perché questo mina non solo la propria corporeità, ma anche la percezione di sé, il rapporto di relazione con gli altri, il proprio equilibrio psicologico, la propria progettualità. E il ritorno alla vita, dopo le operazioni chirurgiche, le cure chemioterapiche e radiologiche, può rivelarsi un altro choc, dopo la consapevolezza della malattia: il corpo è cambiato, la rimozione dei linfonodi crea problemi alle braccia, ci si sente, per dirla in modo grossolano, altre persone. E quasi sempre non ci si piace, a volte si cade in depressione o si hanno problemi affettivi.

Un nuovo strumento

Nell’Unità di riabilitazione di Mozzo che fa capo all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, c’è una opportunità in più, per le donne che hanno subito una mastectomia, totale o parziale o una quadrantectomia (l’eliminazione solo di una piccola parte del seno colpita dal cancro): si chiama Biodanza. «L’idea di introdurre questa possibilità terapeutica parte dalla nostra attività di riabilitatori – spiega Maria Angela Ranghetti, fisioterapista – . Prima di lavorare qui, ero agli allora Ospedali Riuniti. E nei contatti con le pazienti sottoposte a mastectomia, che chiedevano aiuto per riprendere l’uso delle braccia dopo l’intervento e per ridurre gli edemi causati dalla rimozione di linfonodi coglievo il desiderio di poter avere un ausilio in più. Un ausilio che non fosse solo legato appunto all’aspetto fisico, ma che desse strumenti per riacquistare fiducia».

E il progetto arriva, sei anni fa, con la proposta elaborata da Micaela Bianco, fisioterapista anche lei, a Mozzo: «Il processo di guarigione per queste donne ha bisogno di un approccio globale, ma anche di un confronto con gli altri, perché non siamo solo corpo, ma anche spirito, anima, inconscio, spiritualità. L’idea era quella quindi di creare un luogo terapeutico dove dare alle donne gli strumenti non solo per riacquistare coscienza della propria corporeità, ma anche per sentirsi di nuovo vive, per esprimere le proprie emozioni».

Spazi luminosi

Molto più della fisioterapia, molto di più di una terapia psicologica. «Il luogo per avviare una serie di sedute di Biodanza non poteva e non doveva essere l’ospedale – continua Maria Angela Ranghetti – .Molte donne, per esempio, mi avevano confidato che arrivando in ospedale per la fisioterapia o per i controlli, nei reparti sentivano l’odore della chemioterapia, che le faceva ripiombare nell’angoscia. Ecco che la scelta è caduta sulla palestra dell’Unità di riabilitazione di Mozzo, uno spazio luminoso circondato dal verde e fuori da ricordi strettamente ospedalieri». La sensibilità del direttore dell’Unità di riabilitazione, Guido Molinero, ha fatto il resto: «La Biodanza va al di là della riabilitazione ma è un percorso di riappropriazione del proprio corpo. Attraverso la musica e la danza le donne che, con l'intervento, sentono di aver subito una mutilazione, riscoprono se stesse. E il gruppo di donne aiuta in modo vicendevole quante hanno maggiori difficoltà a riaprirsi al mondo».

Si è scelta una fascia oraria pomeridiana, dalle 17 alle 19, al giovedì, per gli incontri delle donne che compartecipano alle spese (le fisioterapiste operano in libera professione, perché la disciplina non è prevista tra le terapie a rimborso) con un minimo contributo. Ed è stato, da subito, un successo: ora, dall’attivazione del progetto, molte amicizie tra donne si sono strette, le partecipanti alle sedute di Biodanza si sentono tutte appartenenti a un gruppo che scambia esperienze e cresce, incontrandosi anche al di fuori della realtà terapeutica. «Il nostro obiettivo, oltre a un recupero fisico, è anche e soprattutto quello di dare alle donne un approccio globale verso la guarigione. Chi è colpito da cancro al seno soffre anche di difficoltà nel riprogettare la propria vita, perde la stima di sé, fa fatica a esprimere le proprie emozioni– continua Micaela Bianco – . Attraverso la danza, gli incontri, la musica, cerchiamo di far tornare le donne amiche del proprio corpo, della propria psiche, e del mondo. Puntando a far riconoscere loro che malattia e salute si compenetrano, sono due aspetti della vita». Sono già almeno 120 le donne che, a Mozzo, hanno partecipato a cicli di Biodanza, e molte vi tornano, anche per più cicli. «In tante ce lo dicono: non si sentono più perse – evidenzia Maria Angela Ranghetti – . Prima della Biodanza, invece, molte donne operate, conclusi i cicli di terapie e di riabilitazione, chiedevano: ora cosa faccio? Ecco, la Biodanza serve anche a questo, a non sentirsi messe da parte, dopo un’esperienza choc come il cancro al seno».

Esercizi e movimenti per «liberare» lo stress

La Biodanza è stata ideata da Rolando Toro, psicologo, antropologo nonché poeta cileno, che già nel 1965 intuì che il recupero autentico della salute sotto il profilo esistenziale poteva avvenire soltanto attraverso un processo di profonda riconnessione con il proprio nucleo affettivo.

Per le donne operate di tumore al seno la riabilitazione attraverso la Biodanza cura quelle che si possono chiamare «cicatrici dell’anima», oltre a contribuire a ridurre lo stress causato dalla malattia, a spingere a esprimere i propri sentimenti, compresa la rabbia, attraverso il movimento e l’ascolto della musica e la condivisione dei problemi di altre donne, e a sviluppare la capacità di resilienza ovvero la risposta dell’essere umano alle avversità. Il ciclo di Biodanza che si tiene nell’Unità di riabilitazione di Mozzo che fa capo all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, è annuale, e prevede 10 sedute di due ore l’una, una volta alla settimana: per il 2015 la partecipazione ai costi chiesta alle donne per l’organizzazione e la gestione del corso è di 5 euro l’ora. Gli incontri o sessioni, sempre sotto la guida di personale sanitario specializzato, hanno una parte teorica e una di esperienza. Si parte con tutte le partecipanti sedute in cerchio: chi conduce introduce il tema su cui verterà l’incontro. Si tratta di una breve introduzione teorica per collocare all’interno di un contesto gli esercizi-danze che si andranno a svolgere. Segue uno spazio per la condivisione verbale di quanto è stato vissuto la volta precedente dalle partecipanti.

Nella seconda parte di un’ora e mezza viene proposta una sequenza di danze e di esercizi inizialmente di attivazione e successivamente di rilassamento. Gli esercizi individuali, a coppie, in piccoli gruppi o con l’intero gruppo, sono supportati dalla musica. Le persone vengono invitate a danzare in accordo con il proprio modo di essere e di sentire.



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