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Il diritto alla felicità: la vocazione sociale del sistema Biodanza

Il diritto alla felicità: la vocazione sociale del sistema Biodanza

di Eugenio Pintore

Relazione presentata al Primo Forum Internazionale Biodanza Sociale e Clinica - Vicenza, Marzo 2009

Chi ha avuto modo di ascoltare Rolando Toro raccontare l’origine della biodanza ricorderà che spesso accanto alla storia della scoperta degli effetti della musica e del movimento con i pazienti psichiatrici dell’ospedale in cui collaborava come professore di psicologia dell’arte, accostava la ricerca sulla biodanza al grande senso di smarrimento e di dolore provato di fronte alle grandi tragedie dell’ultima guerra mondiale. Qualcosa di essenziale doveva essere stato trascurato, diceva, se a fronte del grande sviluppo scientifico e tecnologico, del fiorire di grandi pensatori in tutti il campo dello scibile umano, delle grandi produzioni artistiche e letterarie l’umanita si era ritrovata e contare milioni di morti alla fine di una guerra in cui ai massacri nei campi di sterminio facevano eco i bombardamenti di Hirsohima e Nagasagki. Qualcosa di essenziale dell’umano era stato dimenticato e continuava ad essere dimenticato. Siamo espressione di una società e di una cultura malata nei suoi fondamenti, continuava, a cui sentivo fosse necessario trovare antidoti altrettanto profondi e fondamentali. A questa istanza etica faceva risalire lo sviluppo e la crescita della biodanza che incorporava man mano una visione del mondo in cui le parole chiave erano il riapprendimento e la riconnessione con le istanze vitali iscritte nell’essenza biologica dell’uomo e dell’universo. Bisogna ripartire da una cultura della vita, dal riconoscimento della sua sacralità: non in astratto ma partire da ogni singolo essere vivente fino alla comunità della specie umana.

Il tema della guerra era naturalmente l’esempio più acuto e tragico di una critica alla società e, non solo a quella occidentale, fondata sull’esasperata accentuazione dell’individualismo, della competizione, del potere i cui esiti sono non solo le evidenti ingiustizie sociali o le violazioni costanti dei diritti umani ma in generale e indipendentemente dalle situazioni economiche la compromissione delle possibilità di un pieno sviluppo umano.

Ho fatto riferimento alla memoria di queste aperture di Rolando Toro per ricordare che la vocazione sociale della biodanza , la sua istanza etica, la sua intenzione trasformatrice, non sono degli elementi che si aggiungono facoltativamente a una tecnica che diversamente potrebbe comunque sopravvivere e funzionare. La vocazione sociale della biodanza appartiene ed traspare come una trama indissolubile in ogni suo aspetto, da quello teorico e metodologico a quello vivenciale.

E’ dunque interessante notare come nel corso degli anni - prima in Sudamerica e poi in Europa - si siano man mano sviluppate esperienze con un più marcato ed esplicito orientamento sociale: ne fanno parte in realtà molte che hanno a che vedere con le fasce più deboli della popolazione, spesso in contesti istituzionali o all’interno di progetti comunque sostenuti dalle istituzioni, molte volte in contesti educativi con bambini e adolescenti o rieducativi in ambito sociale o sanitario.

Sembrerebbero comunque diverse dalle “normali” esperienze di biodanza con adulti in contesti mediamente normali. Ma lo sono in realtà unicamente perché evidenziano in modo inequivocabile e “per eccesso” la vocazione orginaria della biodanza: laddove l’ingiustizia sociale, la deprivazione, l’insoddisfazione dei bisogni fondamentali, la violenza talvolta e spesso la discriminazione hanno generato situazioni in cui le risorse e le capacità umane essenziali sono state compromesse, sacrificate represse è lì che la biodanza manifesta la sua essenza e il compito più vero.

Allo stesso tempo è attraverso quelle esperienze che la biodanza mette alla prova la pregnanza e la validità della sua proposta come denuncia e appello a politiche sociali più giuste, a modelli culturali ed educativi più in sintonia con il principio biocentrico con la costituzione originaria dell’essere umano. La biodanza sociale mette in evidenza ciò che la costituisce nel fondamento ovverosia il fatto che è una tecnica raffinata ed efficace di trasformazione personale ma è anche una proposta che mira alla trasformazione del mondo e della società riportando al centro i valori della vita e della dignità della persona, che prende a cuore la difesa dei diritti umani accompagnandola tuttavia ad una specificazione dei bisogni essenziali dell’uomo più ricca, complessa e articolata di quella che emerge ogni volta che si procede alla loro separazione privilegiando ora l’aspetto economico ora quello politico o quello sociale e culturale.

C’è nella proposta della Biodanza un potenziale di valore, teorico e metodologico oltre che operativo, che merita di essere sviluppato per intessere un dialogo con quanti, a partire dalle istituzioni, si occupano di programmi sociali, educativi e in generale di politiche dello sviluppo.

E’ in questo spirito che vale la pena di aprire un confronto tra alcune delle idee di base della Biodanza - ed in particolare quelle che definiscono le cinque linee di vivencia in rapporto allo sviluppo dei potenziali umani - conquelle elaborate in altri contesti interessati a identificare anch’essi le necessità e le capacità umane fondamentali sulle quali costruire ad esempio non solo nuovi modelli di intervento a favore delle aree più povere del pianeta, ma anche nuove concezioni di quello che debba intendersi per sviluppo in relazione alla qualità della vita e al benessere personale.

Gli ambiti di riflessione sono molti. Qui cercheremo di delinearne appena uno riferito ad una concezione dei diritti umani che affronti il diritto alla vita e alla dignità umana nel suo significato più profondo e completo e che a fianco alle “urgenze” dettate da situazioni estremamente gravi legate alla povertà e alla minaccia della sussistenza ( acqua e cibo salute) o alla violazione elementare dei diritti civili e politici sappia contenere anche il diritto allo sviluppo delle potenzialità umane, all’esercizio delle proprie capacità in ambiti che impropriamente vengono considerati secondari e inessenziali come quello affettività e ai sentimenti, all’immaginazione e alla creatività, all’appartenenza comunitaria, al gioco e al riposo. Sono aspetti che insieme a quelli che si definiscono bisogni primari contribuiscono a definire un vita degna di essere vissuta e richiamano il diritto non solo a ricercare la felicità, come recita la costituzione america, ma a possederla.

Potrebbe essere interessante in questa prospettiva partire da quella ormai diffusa piramide dei bisogni elaborata da Maslow con alla base i bisogni fisiologici essenziali alla sopravvivenza, al vertice un insieme di voci che stanno sotto il titolo dell’autorealizzazione, e nel mezzo voci come bisogni affettivi, bisogni di stima.

Si tratta di una impostazione che anche solo da un punto di vista del buon senso appare corretta: se non sono soddisfatti i bisogni della scala inferiore e in particolare quelli fisiologici e di sicurezza gli altri che seguono - non possono neanche essere pensati o sentiti come tali.
Ma se nessuna apparente questione può essere fatta sui bisogni fisiologici fondamentali qualche ragionamento in più può e viene fatto da più parti sul concetto di gerarchia dei bisogni che ne emerge e che , trasposto dalla psicologia individuale in ambito sociale, genera equivoci con modelli di intervento per esempio solo economici o incentrati solo sulla sicurezza o a scapito dei diritti civili o indifferenti alla crescita e allo sviluppo della persona nelle sue necessità affettive o creative.

Se volessimo confrontare questa impostazione gerarchica con le cinque linee di vivencia ci accorgeremmo da subito che pur restando in una ovvia prevalenza dei bisogni fisiologici essenziali alla sopravvivenza la relazione tra le linee, non può essere rappresentata da una piramide ma piuttosto in una figura che richiama l’ologramma, una figura comunque in grado di rappresentare la loro l’interazione sistemica: tutte le linee sono essenziali e interagiscono tra di loro e insieme definiscono una totalità umana integrata: tutte sono egualmente necessarie e nessuna può essere elusa senza ripercursioni sulle altre compresa la prima, quella fisiologica, che sembrerebbe quella più autonoma (una situazione di privazione affettiva, una perdurante minaccia alla stima personale, una esposizione all’insicurezza lavorativa possono incidere sullo stato di salute generando patologie anche gravi che minacciano la sopravvivenza della persona).

Gli esiti di questa assunzione circa una concezione non gerarchica dei bisogni diventano evidenti tuttavia solo se li si colloca nella loro originaria dimensione: l’essenzialità dei bisogni, tutti indistintamente, trova il suo fondamento nella costituzione biologica dell’uomo.
In questo senso non solo non sono gerarchici ma non consentono margini di negoziabilità: hanno un carattere universale, riguardano cioè tutti gli appartenenti alla specie umana.indipendentemente dalle culture, dalle condizioni storiche, da quelle politiche o religiose. Non si possono relativizzare.
Non c’è un luogo o un tempo in cui perdano di validità. E se le condizioni sociali storiche e culturali non ne permettono la piena soddisfazione ciò che viene compromessa è la possibilità della persona di vivere la propria vita con dignità.

Dire biologico non è solo dire genericamente naturale: significa riconoscere nello stesso tempo la interdipendenza e l’ indivisibilità dei bisogni. Come non ci sono bisogni più importanti degli altri, non ci sono bisogni che possono essere sacrificati a favore di altri: l’unità della persona umana non consente discriminazioni tra le necessità fondamentali. Certo ci sono soglie oltre le quali la soddisfazione di un bisogno si impone con una urgenza assoluta: l’esempio della sussistenza è quello più chiaro. Ma vale anche per tutti gli altri: c’è una soglia oltre la quale la mancanza di affetto, di autostima, di rispetto compromette la vita stessa delle persone.

Non è un caso che nel dibattito sui diritti umani si sia fatta strada negli ultimi anni l’accentuazione della interdipendenza e della indivisibilità dei diritti e la proposta di una teoria dello sviluppo a dimensione umana. (Su questa dimensione non gerarchica e sistemica ha detto alcune cose importanti l’economista Max Neef)

Il secondo aspetto su cui riflettere sempre nella prospettiva di un dialogo della Biodanza sul tema dei diritti, potrebbe stare sotto il titolo: dai bisogni alle potenzialità e alle capacità.

Il linguaggio e il vocabolario dei bisogni nasconde molte insidie e il riferimento alla unità e alla totalità della persona non sempre riesce a evitarli.
La soddisfazione dei bisogni contiene in se una dimensione di passività che proietta l’idea di sviluppo anche personale in una dipendenza da interventi esterni e spesso di tipo asssitenziale. Una concezione che mantiene la persona in una dimensione di necessità perenne.
Il rimando continuo che Rolando Toro fa al concetto di potenziale genetico con i connessi ragionamenti sugli ecofattori che ne favoriscono o compromettono lo sviluppo mette in gioco la necessità di creare e o modificare l’ambiente – umano e naturale - in cui nascono o crescono e vivono le persone, in modo da renderli adatti al pieno sviluppo delle proprie capacità innate.

Dove l’ambiente è da intendere nella sua massima estensione, nei termini cioè di una ecologia umana in cui sono importanti non solo gli aspetti economici e generalmente sociali ma anche quelli relazionali familiari ed educativi. La proposta di una educazione biocentrica non è altro che il versante concreto ed operativo di questa assunzione e risponde ad una idea della vita come una tesoro di possibilità che trova la sua piena espressione in modo naturale se il contesto è favorevole al suo sviluppo.

Rileggere i diritti umani in questa prospettiva in qualche modo ecologica, nel senso che il diritto alla vita e il rimando alla dignità possono essere compresi non solo in termini di concessioni od obblighi ma impegnano ad una garanzia per la piena “fioritura” della persona.

Il termine “fioritura” che pare avere un solo effetto poetico è utilizzato nell’ambito della riflessione su una nuova economia dello sviluppo come quella di Amartya Sen quando focalizza la necessità di considerare lo sviluppo economico e sociale finalizzato alla creazione di condizione adatte al pieno sviluppo delle capacità umane, alla sua fioritura appunto. Ma le consonanze più interessanti con il concetto di potenzialità le si possono trovare nella riflessione di Martha Nusbaum che riscrive i diritti umani non in riferimento ad una teoria dei bisogni ma piuttosto a quella del diritto reale a poter veder crescere e sviluppare ed esercitare tutte le capacità più proprie di ciascun essere umano.

Sono capacità sulle quali non sono ammissibili eccezioni senza che queste si trasformino di fatto in discriminazioni, sono capacità il cui esercizio deve essere garantito a tutti indifferentemente senza distinzioni di razza, sesso, culture, religione e il cui valore deve essere effettivamente riconosciuto come universale.

Il modello di riferimento è naturalmente diverso da quello sintetizzato nelle cinque linee di vivencia indicate da Rolando Toro ma contiene indicazioni importanti quando si vogliano esplorare gli esiti non solo psicologici ma sociali della biodanza, e possono essere intesi come un suggerimento per una possibile articolazione in decalogo sociale del principio biocentrico.

Provo a elencarle alcune ponendo l’accento non tanto su quelle più condivisibili come quelle che riguardano la vita la salute o l’integrità fisica ma su quelle che paiono e vengono spesso lette come secondarie appunto secondarie riferite per esempio all’immaginazione, ai sentimenti.
Le riporto integralmente :

1. Vita. Avere la possibilità di vivere fino alla fine una vita umana di normale durata; di non morire prematuramente, o prima che la propria vita sia stata limitata in modo tale da essere indegna di essere vissuta.

2. Salute fisica. Poter godere di buona salute, compresa una sana riproduzione; poter essere adeguatamente nutriti; avere una abitazione adeguata.

3. Integrità fisica. Essere in grado di muoversi liberamente da un luogo all'altro; di essere protetti contro le aggressioni, compresa l'aggressione sessuale e la violenza domestica; avere la possibilità di godere del piacere sessuale e di scelta in campo riproduttivo. Già in questo terzo punto ci sono elementi importanti da sottolineare: si parla per esempio di aggressione sessuale, di violenza domestica, di piacere sessuale. Sono aspetti che spesso nella enunciazione fredda e giuridica dei diritti non vengono considerate ma che rimandano a contesti concreti di violenza e sopruso, soprattutto nei confronti delle donne, che sono limitazioni gravi al libero sviluppo ed esercizio delle potenzialità e capacità umane.

4. Sensi, immaginazione e pensiero. Poter usare i propri sensi per immaginare, pensare e ragionare, avendo la possibilità di farlo in modo «veramente umano», ossia in un modo informato e coltivato da un'istruzione adeguata, comprendente alfabetizzazione, matematica elementare e formazione scientifica, ma nient'affatto limitata a questo.
Essere in grado di usare l'immaginazione e il pensiero in collegamento con l'esperienza e la produzione di opere autoespressive. (..) Poter andare in cerca del significato ultimo dell'esistenza a modo proprio. Poter fare esperienze piacevoli ed evitare dolori inutili.

5. Sentimenti. Poter provare affetto per cose e persone oltre che per noi stessi, amare coloro che ci amano e che si curano di noi, soffrire per la loro assenza; in generale, amare, soffrire, provare desiderio, gratitudine e ira giustificata. Non vedere il proprio sviluppo emotivo distrutto da ansie e paure eccessive, o da eventi traumatici di abuso e di abbandono.

6.Ragion pratica. Essere in grado di formarsi una concezione di ciò che è bene e impegnarsi in una riflessione critica su come programmare la propria vita.

7. Appartenenza. A) Poter vivere con gli altri e per gli altri, riconoscere l'umanità altrui e mostrare preoccupazione per il prossimo; impegnarsi in varie forme di interazione sociale; essere in grado di capire la condizioni altrui e provarne compassione; essere capace di giustizia e di amicizia. (Tutelare questa capacità significa tutelare istituzioni che fondano e alimentano queste forme di appartenenza e anche tutelare la libertà di parola e di associazione politica). B) Avere le basi sociali per il rispetto di sé e per non essere umiliati; poter esser trattata come persona dignitosa il cui valore eguaglia quello altrui. Questo implica, a livello minimo, protezione contro la discriminazione in base a razza, sesso, tendenza sessuale, religione, casta, etnia, origine nazionale.

8. Altre specie. Essere in grado di vivere in relazione con gli animali, le piante e con il mondo della natura provando interesse per esso e avendone cura.

9. Gioco. Poter ridere, giocare e godere di attività ricreative.

10. Controllo del proprio ambiente. A) Politico. Poter partecipare in modo efficace alle scelte politiche che governano la propria vita; godere del diritto di partecipazione politica, delle garanzie di libertà di parola e di associazione; B) Materiale. Aver diritto al possesso (di terra e beni mobili) non solo formalmente, ma in termini di concrete opportunità; avere il diritto di cercare lavoro sulla stessa base degli altri; essere garantiti da perquisizioni o arresti non autorizzati. Sul lavoro, essere in grado di lavorare in modo degno di un essere umano, esercitando la ra-gion pratica e stabilendo un rapporto significativo di mutuo riconoscimento con gli altri lavoratori


Certo. Alcune punti sono di più diretto interesse della biodanza. Altri possono sembrare troppo esplicitamente politici. Ma i diritti umani hanno anche una estensione propria nell’ambito dei diritti civili e politici dal cui rispetto dipende la possibilità per le persone di sviluppare capacità apparentemente più soggettive. Sono elementi che diamo per scontati laddove i sistemi politici sono sufficientemente aperti ma diventano primari in contesti fortemente repressivi. Non esiste pieno sviluppo personale senza un contesto, anche politico, che ne garantisca la possibilità in termini di libertà. Lo stesso vale naturalmente per le condizioni economiche.

Tutti comunque fanno riferimento a una sorta di ecologia dello sviluppo umano che si estende dal contesto ampio riferito allo stato fino a quello personale delimitato dallo spazio familiare e delle relazioni con l’altro..
Come dicevo gli elementi di maggior interesse riguardano tuttavia aspetti che normalmente si considerano secondari e talvolta velleitari in termini di diritti. Se è facile comprendere la necessità di tutelare e garantire il diritto al cibo e all’abitazione e alla sicurezza più difficile è parlare di un diritto all’immaginazione, all’affetto, all’amore, al gioco.

Aver posto tra le capacità essenziali l’immaginazione e il pensiero, la possibilità di “ridere e giocare e godere di attività ricreative” o quello di poter provare affetto per cose e persone oltre che per noi stessi, amare coloro che ci amano e che si curano di noi” introduce una visione in cui anche ciò che normalmente intendiamo come appartenenti all’ambito della psicologia individuale rivelano il loro carattere sociale.

Il termine capacità, ma potremmo dire nel vocabolario di Rolando Toro delle potenzialità umane, acquista qui tutta la sua rivelanza: si tratta di essere messi nelle condizioni di poter fare o sentire ciò che appartiene originariamente ed universalmente a tutti come esseri appartenenti alla specie umana prima ancora di qualsiasi differenziazione storica geografica o culturale.

Tali capacità possono essere compromesse in mille modi ma tutti imputabili ad un “ambiente” che nei suoi molteplici aspetti economici giuridici culturali e familiari rende impossibile il loro sviluppo o il loro libero esercizio.

E la violazione ha la stessa gravità sia che la si consideri dal punto di vista dello sviluppo sia da quello della repressione. Non potere esercitare la libera capacità di pensiero e di immaginazione perché non ci è stata data la possibilità di far crescere e sviluppare in un contesto educativo adeguato è grave quanto limitarne l’esercizio. La repressione è più facile da riconoscere e contro di essa abbiamo sviluppato una sensibilità collettiva che ci consente di mettere in atto quantomeno azioni di denuncia. Ma non con altrettanta chiarezza appare la violazione di un diritto nel caso in cui se ne impedisca, in modo consapevole o meno non importa, la crescita e lo sviluppo.

Si noti per esempio quel che si dice a proposito dei sentimenti laddove si esplicita il diritto a “Non vedere il proprio sviluppo emotivo distrutto da ansie e paure eccessive, o da eventi traumatici di abuso e di abbandono” o ancora il diritto a poter vivere con gli altri e per gli altri, riconoscere l'umanità altrui e mostrare preoccupazione per il pros-simo; impegnarsi in varie forme di interazione sociale; essere in grado di capire la condizioni altrui e provarne compassione; essere capace di giustizia e di amicizia.

Che queste capacità umane possano essere sacrificate e compromesse non è solo evidente in riferimento a contesti affettivi e relazionali di tipo familiare e parentale ma anche in riferimento a contesti sociali in cui per esempio i bambini e gli adolescenti vengono privati delle esperienze fondamentali positive tali da poter sviluppare le minime capacità empatiche; bambini coinvolti in azioni di violenza di guerra come nel caso dei bambini soldati, ma anche in quello della criminalità organizzata, bambini e adolescenti cresciuti in contesti di indifferenza verso l’altro, di disprezzo o di discriminazione, o di palese razzismo.

La mancanza di un contesto affettivo adeguato, la subordinazione dei comportamenti a squalificazioni proprie degli adulti nei confronti dell’umanità dell’altro compromettono in modo spesso irrecuperabile lo sviluppo e la crescita della sensibilità empatica.
Questa violenza esercitata nei confronti dei bambini o degli adolescenti è di una gravità incommensurabile, non meno grave di quella correlata alla mancanza di istruzione o di cura.

Il diritto in questo caso viene compromesso fin dalle sue origini non permette lo sviluppo di una capacità umana fondamentale.
In questo senso le capacità, tutte le capacità umane, sono da intendersi come diritti che devono essere salvaguardati e tutelati non solo nella loro espressione ma prima ancora nel loro sviluppo.
Sono capacità che devono essere curate sia nella parte educativa ma anche – ed è qui che la biodanza svolge un ruolo aggiuntivo - nella sua dimensione riabilitativa.

Laddove ci sono persone le cui capacità sono state compromesse, sacrificate, represse , laddove la violenza o l’indifferenza del contesto economico sociale o familiare hanno provocato delle lesioni dei diritti e delle capacità fondamentali la Biodanza può partecipare al loro recupero e alla ricostituzione della integrità della persona.

Sempre Amartya Sen quando parla del diritto al benessere e alla qualità della vita fa riferimento ad una idea di felicità di ispirazione aristotelica, l’eudaimonia, interpretandola come la piena fioritura della vita, il pieno sviluppo delle capacità di ciascuno.
Offrire e garantire alla vita di ciascuno di “fiorire” di esprimere le potenzialità più proprie. Questa è la biodanza , e questa è la sua vocazione sociale.

Eugenio Pintore

 

Relazione presentata al Primo Forum Internazionale Biodanza Sociale e Clinica Creazzo VI - Marzo 2009
Atti del convegno
Redazione e traduzioni a cura di Giovanna Benatti
Centro Gaja Scuola di Biodanza di Vicenza



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