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La Biodanza come proposta riabilitativa in donne operate per carcinoma mammario

La Biodanza come proposta riabilitativa in donne operate per carcinoma mammario

La tesi di Laurea in Assistenza Sanitaria di Chiara Gamba, presso l'Università degli Studi di Brescia, Dipartimento Specialità Medicochirurgiche, Scienze Radiologiche e Sanità pubblica.

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Introduzione

Una donna, a cui viene diagnosticato un tumore al seno, subisce una profonda crisi, che tocca i diversi piani dell’essere. Dal punto di vista fisico, la donna può andare incontro ad una possibile asportazione del seno, parziale o totale, ad una conseguente limitazione della mobilità del braccio coinvolto, all’affaticamento e al dolore, oltre alla perdita dei capelli e del ciclo mestruale, per effetto della chemioterapia e/o della radioterapia, all’aumento di peso per la terapia ormonale e alla presenza delle cicatrici post chirurgiche. Esistono, inoltre, “cicatrici” apparentemente meno visibili, ma più dolorose e più difficili da rimarginare. Per esempio, dal punto di vista psicologico, la donna perde stima di sé stessa e la sua immagine corporea peggiora. Sul piano emotivo, inoltre, si delineano contemporaneamente emozioni contrastanti, come depressione, ansia, paura della sofferenza e di recidive, angoscia della morte, rabbia, rifiuto del proprio corpo e percezione di una qualità negativa della propria vita, connotata dalla sensazione di aver perso il controllo su di essa, costantemente messa alla prova dalla malattia. Le donne, che riescono a superare questa malattia – ed oggi sono la maggior parte – tendono spontaneamente a rinunciare a fare progetti a lungo termine.

Il vissuto di questa esperienza viene aggravato ulteriormente dall’aggressione di un organo, il seno, carico di significati così intimamente legati all’identità femminile, simbolo di nutrimento e di piacere, e dalla terapia adiuvante, la quale si accanisce contro i principali aspetti della femminilità come i capelli, il ciclo mestruale e la fertilità.

Oltre ad incidere pesantemente sulla percezione del proprio corpo e della propria femminilità, questa esperienza genera cambiamenti anche nella vita relazionale. Possono nascere difficoltà sia nella sfera sessuale sia nei rapporti affettivi già presenti o affiorare incertezze sulla possibilità di costruire un progetto affettivo futuro.

La crisi di una donna, a cui viene diagnosticato un tumore al seno, può essere articolata in alcuni momenti fondamentali. Il primo avviene subito dopo la diagnosi. Si tratta del momento in cui la donna si trova in uno stato confusionale, dove predominano vissuti di vulnerabilità e d’impotenza, derivanti dalla incapacità di controllare quello che le sta succedendo e dalla perdita di fiducia nelle proprie potenzialità. Durante questa prima fase, la donna rifiuta di parlare di ciò che le sta accadendo, ponendo meno domande possibili agli specialisti e, spesso, mettendone in discussione le scelte sui trattamenti.

“Questa risposta alla situazione viene chiamata “siderazione” in quanto tutti gli sforzi sono finalizzati al controllo delle emozioni. Essa è necessaria perché protegge da una realtà percepita come troppo dolorosa”.

La donna acquisisce consapevolezza circa la sua malattia nel momento in cui inizia a sottoporsi ai trattamenti e, in questa seconda fase, inizia a riprendere contatto con la realtà, scatenando vissuti di ansia e di paura, evocati dalla perdita di controllo sulla situazione, dal senso di vulnerabilità, dalla minaccia relativa alla possibile privazione di una parte del corpo, spesso accompagnati da rabbia, amarezza, afflizione e senso di abbandono. Gestire la nascita di tutte queste emozioni risulta molto difficile e comporta la perdita di molte energie che spesso la donna cerca di nascondere ciò che sta provando in questi momenti.

Dopo aver terminato tutti i trattamenti, la donna si ritrova per lo più abbandonata a sé stessa e, in questa fase, è costretta a riflettere su quello che le è successo, alla ricerca di una soluzione per riuscire a convivere con la sua nuova situazione. Questa fase successiva può essere definita come:

“elaborazione dell’evento malattia come parte della storia personale, in cui è necessario avvertire e interiorizzare il cambiamento e quindi dare l’avvio a un processo di consolidamento della nuova identità”.

Da qui prende avvio l’ultima fase della crisi, caratterizzata dal bisogno di ri-orientare la propria vita a seguito del tumore, imparando in ogni caso a convivere l’incertezza rispetto all’auspicata guarigione totale o viceversa alla possibilità di eventuali recidive. Durante questa fase, le manifestazioni psicologiche più frequenti sono sentimenti di perdita, di vuoto, d’incertezza che possono sfociare in gravi quadri depressivi.

La compresenza di tante e tali problematiche rende conto della urgente necessità di attivare dei percorsi di cura, che non si limitino esclusivamente all’asportazione delle cellule cancerose, ma che sostengano la donna anche dal punto di vista cognitivo, emotivo, psicologico e relazionale.

È in tale direzione che alcuni anni fa nacque la proposta di un intervento di riabilitativo che non riguardasse solo il recupero fisico, ma anche psicologico e relazionale per donne che erano state sottoposte a un intervento chirurgico di mastectomia o quadrantectomia. Questo intervento consisteva nella pratica della Biodanza, che il suo ideatore Rolando Toro definisce come

“un sistema pedagogico finalizzato all’integrazione umana, alla rieducazione affettiva, al riapprendimento delle funzioni originarie della vita. Il processo di integrazione si attua mediante la stimolazione della funzione primordiale di connessione con la vita, che consente a ciascun individuo di integrarsi a sé, alla specie, all’universo; l’integrazione a sé consiste nel riscattare l’unità psicofisica, l’integrazione al simile consiste nel restaurare il vincolo originario con la specie come totalità biologica, l’integrazione all’universo consiste nel riscattare il legame primordiale che unisce l’uomo alla natura, e nel riconoscersi parte di una totalità maggiore, il cosmo”.

La proposta prese avvio anche presso l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, con una breve sperimentazione (quattro incontri), al termine della quale le partecipanti si espressero con la fondamentale considerazione che la ritenevano un’offerta da fare a tutte le donne operate di carcinoma mammario per la prima fase di recupero6: l’intervento riabilitativo attraverso la Biodanza era stato percepito come un valido supporto per

ritornare alla condizione fisica ma soprattutto psicologica, cognitiva e relazione precedente l’avvento della malattia.
La caratteristica fondamentale della pratica proposta è, infatti,

“la possibilità di lavorare con la persona nella sua totalità, facendo emergere strategie utili per affrontare la malattia e adattarsi al cambiamento, favorendo e rinforzando le risorse personali e la crescita individuale in modo da risvegliare progressivamente nuove motivazioni per vivere”.

In sintesi, gli scopi dell’intervento riabilitativo attraverso la pratica della Biodanza sono:

  •   ritrovare un dialogo con il corpo: ascoltarlo, proteggerlo, curarlo, coccolarlo,

    accettarlo;

  •   vivere e sentire il corpo come integro, vitale (aumentare la sensazione di energia)

    e come fonte di sensazioni positive in modo che da «traditore» ritorni «amico»;

  •   recuperare l’equilibrio omeostatico e l’equilibrio interno all’organismo;

  •   aumentare la stima di sé, rafforzare la fiducia e il senso di controllo sulla propria

    vita;

  •   esprimere le emozioni, in particolare la rabbia, in modo creativo e superando lo

    stato depressivo;

  •   recuperare la propria identità femminile;

  •   armonizzare l’affettività e uscire dall’isolamento;

  •   rilassarsi per governare e contrastare le condizioni di stress.8

    “Per facilitare l’accesso all’emozione, al raccoglimento, alla percezione sensibile di sé stessi e del simile, all’espressione, si usa in Biodanza il linguaggio eterno e universale della musica, il movimento integrato all’emozione, il calore che scaturisce dall’incontro con altre umane presenze e l’induzione di vivencia integranti”9, concetto che Rolando Toro definisce come

    “esperienza vissuta con grande intensità da un individuo nel momento presente che coinvolge la cenestesia, le funzioni viscerali ed emozionali”10.

    La riabilitazione attraverso la Biodanza si pone come obiettivo principale quello di far recuperare alla donna la condizione che aveva prima della diagnosi e dei trattamenti per il tumore al seno. Questa riabilitazione consente sia un recupero dal punto di vista fisico (edema del braccio, cicatrici, ecc...) che dal punto di vista psicologico e relazionale (accettazione della nuova condizione, recupero dell’identità femminile e delle relazioni intime). La grande difficoltà consiste nel provare a trasformare il periodo di crisi in occasione di rinascita:

    “attraverso da una parte la creazione di condizioni in cui consentire a ciascuna partecipante di scoprirsi protagonista volontaria, attiva e cosciente della propria guarigione e dall’altra la promozione di risorse e capacità personali e il rinforzo della fiducia in sé stesse”11.

    Il processo di rinascita necessita di un approccio globale, dato che la malattia colpisce il corpo, ma ha effetti sulla persona nella sua totalità. Per questo l’intervento riabilitativo deve includere sia il corpo che gli altri aspetti di una persona.
    Come ben delineato nel progetto “Riconciliarsi con la vita attraverso la Biodanza – Intervento educativo con donne operate di tumore al seno” di Isabella Casadio12, l’intervento riabilitativo che coinvolge e si integra attraverso la pratica della Biodanza fa proprie le seguenti finalità:

    1. Rieducare alla corporeità vissuta, vale a dire far nascere in ogni partecipante la necessità di ascoltarsi, di sentire con più attenzione i messaggi che il proprio corpo invia, di sensibilizzarsi alle necessità fondamentali (fame, sete, riposo, avvicinamento e contatto, ecc.) e, quindi, di recuperare e di mantenere la salute. Inoltre l’obiettivo di educare al corpo vissuto comporta una educazione ad ascoltare e a riconoscere le sensazioni e le emozioni che si risvegliano nel corpo

    nel qui e ora, secondo il principio fenomenologico del corpo come soggettività che esperisce il mondo attraverso i vissuti. In particolare si è cercato di recuperare il corpo come fonte di sensazioni piacevoli, in quanto un corpo fonte di piacere è un corpo che si accetta, a cui si può dare fiducia, che suscita voglia di averne cura, di rispettarlo, di coccolarlo, di amarlo. L’aver sperimentato vissuti positivi porta a ricercarli nel quotidiano e a facilitare la distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male per se stessi. La percezione, infatti, di un corpo vivo che pulsa, intensifica la sensazione di essere viva e di avere energia per affrontare l’esistenza.

    1. Riscattare l’integrità corporea e ricostruire l’identità femminile. L’asportazione del seno, parziale o totale, genera non solo la perdita del senso d’integrità corporea, ma anche modificazioni sul sentirsi donna e madre, cui ho accennato precedentemente. Per la donna, infatti, il seno è un

      “elemento fondamentale, componente della propria immagine corporea, testimone tangibile della propria identità, risultante di molteplici esperienze di rapporto col proprio corpo che cambia nell’adolescenza e decade in età avanzata, e con corpi altrui, oggetto di carezze e veicolo di allattamento”13.

    2. Ascoltare, nominare, esprimere le emozioni. Le emozioni e la loro espressione, adeguata al contesto e allo stimolo, sono dei princìpi regolatori per le funzioni neurovegetative e psico-immunitarie. Spesso durante il trattamento, la donna non riesce a esternare le emozioni che prova oppure preferisce nasconderle agli altri. Sono indispensabili, quindi, spazi e tempi in cui la donna possa entrare in contatto con sé stessa, con le proprie emozioni e possa lasciarle fluire, nel momento presente e in feedback con l’ambiente.

    3. Equilibrare l’affettività e uscire dall’isolamento. In queste donne è stata riscontrata sia per cultura sia per educazione di genere e generazionale, una tendenza molto forte a donare agli altri amore, cure e protezione, mentre debole se non inesistente la capacità di prendersi cura di sé e di ricevere affetto. Risulta,

      dunque, necessario un percorso che risvegli queste capacità ferite e riequilibri i due movimenti di dare e di ricevere. Inoltre incontrarsi una volta a settimana tra donne che hanno vissuto l’esperienza del tumore, può aiutare a uscire dall’isolamento esistenziale, affettivo e relazionale, in cui molte si trovano. A questo proposito è interessante e vicina al pensiero del creatore della Biodanza, la tesi di Franco Fornari secondo cui il cancro deriva da una profonda disorganizzazione degli affetti, i quali in forma di “anima depressiva” o di “anima ascensiva”, influenzano salute e malattia. Secondo questa teoria la risposta risiede in una “terapia degli affetti” che si realizza mediante la loro armonizzazione.

      5. Recupero dell’equilibrio interno. L’organismo, di fronte a situazioni di difficoltà, scatena reazioni di adattamento per conservare l’equilibrio funzionale, che viene definito come la capacità di autorganizzazione e consiste nel rinnovarsi e nello stabilire nuovi livelli di equilibrio a partire da certi stati di disordine. È possibile promuovere tale capacità stimolando l’omeostasi, o equilibrio interno, e riducendo i fattori di stress con esercizi che inducono stati di rilassamento profondo.

      [...continua...]

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