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Un tesi sulla Biodanza presso l'Università di Siena, master di I livello in “Medicine Complementari e Terapie Integrate”

Un tesi sulla Biodanza presso l'Università di Siena, master di I livello in “Medicine Complementari e Terapie Integrate”

Una tesi di master svolta presso l'Università di Siena, Dipartimento di Medicina Molecolare e dello Sviluppo. Master Universitario di I livello in “Medicine Complementari e Terapie Integrate”

Direttore del Master:  Prof. Eugenio Bertelli
Vice Direttore del Master:  Prof. Gian Gabriele Franchi

Tutor del Master: Dr.ssa Simonetta Bernardini
Relatore: Dr. Paolo Campi
Tesi di Master di: Federico Vagnoni

«Da alcuni anni il Prof Francesco Bottaccioli, fondatore e presidente onorario della SIPNEI (Società Italiana di Psico Neuro Endocrino Immunologia) mi incarica di tenere una volta all’anno una lezione sulla PNEI (Psico Neuro Endocrino Immunologia) al Master di I° livello in “Medicine Complementari e Terapie Integrate” presso l’Università di Siena.
Ogni volta, dopo la lezione, tengo una breve presentazione teorica sulla Biodanza e quindi una sessione di presentazione, sempre molto ben accolta dagli studenti, che sono Infermieri Professionali, Fisioterapisti, Dietisti, Naturopati e Operatori di diverse Discipline Bionaturali. Nel 2017 Il Dr Federico Vagnoni, Infermiere Professionale che lavora presso una RSA ha deciso di scrivere la sua tesi di Master su PNEI e Biodanza, dal titolo “Biodanza, la poetica dell’incontro umano”.»

Dott. Paolo Campi

Biodanza, la poetica dell'incontro umano

Introduzione

Come diceva il Professor Testa nel suo trattato di cardiologia scritto ben duecento anni fa, se un medico si occupa esclusivamente del malfunzionamento del corpo non può che curare al massimo la metà di ciò che è necessario Testa 1832). Ho sempre pensato che la definizione ufficiale dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità sulla salute, che dice che essa è uno stato di completo benessere, fisico, psichico e sociale di un individuo sia alquanto riduttiva: credo sia qualcosa di più, la salute è un processo permanente di ricerca di un equilibrio dinamico fra tutti i fattori che compongono la vita umana. La salute è il trovarsi in equilibrio con il corpo, le emozioni, la mente e la propria interiorità (Di Luzio 2011).

La PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia) è stata per me una scoperta sorprendente, ha dato le risposte che da sempre cercavo, perché ci ammaliamo, perché una persona si ammala di una certa patologia a differenza di un’altra, perché ciò che viviamo e sentiamo influenza la nostra vita e la nostra salute. Una volta lessi per caso su un giornale di uno studio che dimostrava come la rabbia riduce per almeno sei ore la capacità del sistema immunitario di rispondere adeguatamente a degli insulti infettivi e dove si citava questa nuova branca della medicina, la PNEI appunto.

Così ho deciso di iscrivermi a questo Master, alla ricerca continua di nuove risposte e nuovi scenari, io che da infermiere ogni giorno della mia vita mi trovo davanti alla riflessione sul concetto di salute e malattia.

Se la scoperta della PNEI è stata casuale e in qualche modo illuminante, ancor di più lo è stata quella della Biodanza, di cui non avevo mai sentito parlare prima se non il giorno che mi sono presentato ad una lezione di questo anno di Master, ed è stato amore a prima vista , o meglio, a primo ascolto: sentire dire che la Biodanza è la poetica dell’incontro umano mi ha illuminato il cuore. Io ho sempre creduto che uno dei fattori principali di benessere e di salute sia la relazione con gli altri e che la vita sia come un atto poetico: nel momento in cui ti apri al mondo esterno ed all’incontro con il tuo prossimo, solo lo sguardo poetico è capace di vedere il “meraviglioso”. Quindi una disciplina codificata secondo criteri scientifici che abbinasse poesia e scienza insieme era stupendo.

Con questa mia tesi mi propongo l’obiettivo di far conoscere la Biodanza sistema Rolando Toro attraverso un percorso storico su com’è nata questa tecnica per lo sviluppo umano incentrata sulla manifestazione spontanea delle emozioni attraverso la musica, la danza e il movimento, la storia del suo ideatore, la definizione ed i principi su cui si fonda, i concetti strutturali e i fondamenti teorici di base, illustrando alla fine le ricerche scientifiche più significative pubblicate su riviste autorevoli. Introduco l’argomento di tesi con un capitolo “Dal corpo alla mente” dove descrivo, grazie anche alla visione Pnei, l’importanza di conoscere se stessi attraverso il corpo, come le emozioni modulano continuamente questa reciproca comunicazione tra mente e corpo e quindi come la modulazione fisica dell’organismo attraverso discipline corporee, costituisca una potente via di influenzamento del network umano.

2. DAL CORPO ALLA MENTE

2.1. Il corpo del paziente: da semplice oggetto delle cure a soggetto della relazione terapeutica. (Zannini 2004)

Cosa accade nella vita di un atleta quando mira a realizzare grandi risultati nell’ambito della propria disciplina sportiva? Succede che nel profondo del suo animo nasce il desiderio di realizzare una determinata impresa, a livello mentale ne delinea le modalità, i tempi, gli sforzi e le difficoltà che dovrà affrontare, le risorse umane e materiali necessari al raggiungimento dell’obiettivo. A livello corporeo svolgerà azioni come esercizi fisici, cura dell’alimentazione, adeguato riposo, comportamenti atti a preservare il corpo da traumi e dallo stress.

Pensieri ed emozioni, infine, accompagnano l’organismo dell’atleta in tutto il percorso che lo porterà al risultato sperato.
L’anima, la psiche ed il corpo interagiscono tra loro affinché l’atleta possa realizzare il traguardo desiderato.

Senza il proprio corpo come potrebbe l’atleta sperare di costruire una prestazione sportiva? Banale e semplicistica considerazione, eppure diamo per scontato che il nostro corpo esiste, che debba obbedire sempre e comunque alla nostra mente e che possiamo usarlo a nostro piacimento. Ci accorgiamo che le cose non stanno proprio così quando il corpo prova dolore, si ammala, si modifica e invecchia.

Non dovremmo forse chiederci quanto nell’arco di una giornata ci soffermiamo ad ascoltare i messaggi inviati dal corpo? Quanta attenzione poniamo al modo in cui respiriamo, alle tensioni che si accumulano sui muscoli e sull’addome, alle cose, alle parole e agli

eventi non graditi dal corpo? Non siamo forse troppo presi dal “troppo fare”? Quanto tempo quotidiano viviamo nella “gabbia mentale” a rincorrere, come criceti, pensieri di varia natura? Forziamo il corpo verso comportamenti che risultano innaturali per il suo fisiologico funzionamento e per il nostro benessere generale. Eppure lui, il soma, ci parla in ogni istante ed in vari modi: attraverso la pelle (rossore, pallore, eruzioni cutanee...), le pulsazioni cardiache, il respiro, la modificazione della digestione e del riposo notturno, l’encefalo (cefalee, emicranie...), i muscoli e le articolazioni, le espressioni del viso, le variazioni ormonali...

I messaggi che ci invia sono chiari e semplici: “parlano” di come il corpo vive tutto ciò che gli accade, quali sono le cose gradite e quelle da evitare. Le sensazioni di origine esterocettiva presuppongono la conoscenza del mondo esterno, mentre le sensazioni enterocettive permettono la gnosia corporea.

“Non si deve dire che il nostro corpo è nello spazio, né d’altra parte che è nel tempo: Esso abita lo spazio e il tempo” (Merleau- Ponty, 1965).
Da sempre la cultura interviene sul corpo al fine di modellarlo senza il rispetto delle sue regole e delle sue norme. In ogni società e in tutte le epoche il corpo viene “addestrato” sin dall’infanzia affinché si trasformi in un riflesso di valori e credenze socialmente accettate. Di qui l’importanza, condivisa da una schiera di antropologi, storici e sociologi contemporanei, attribuita al corpo come “primo luogo di riferimento in cui si applicano i limiti sociali e psicologici imposti alla sua condotta, l’emblema su cui la cultura imprime i suoi sigilli come altrettanti blasoni”.

I comportamenti adottati da uomini e donne in una data società, per quanto sembrino spontanei e paiano rispondere alla logica del gesto naturale, rappresentano invece “tecniche culturalmente valorizzate e atti efficaci”.
Per questa ragione i Polinesiani nuotano in modo diverso dai francesi o un americano e un francese quando camminano non adottano la stessa posizione delle braccia e delle mani. Ciò risulta altrettanto vero se si parla dell’espressione dei sentimenti. “Sono fenomeni essenzialmente sociali e non esclusivamente psicologici o fisiologici, non solo i pianti ma ogni genere di espressione orale dei sentimenti, i quali ricadono sotto il segno della non spontaneità e della più stringente coercizione6”.

Come spiega ancora Mauss: “Tutte le espressioni collettive, simultanee, di valore morale e di forza coercitiva, relative ai sentimenti dell’individuo e del gruppo, sono qualcosa di più di semplici manifestazioni, si tratta di segni espressivi compresi dagli altri: in breve, di un linguaggio (Mauss 1975)”.

Che cosa dire di tutte quelle manifestazioni di sé, spesso rifiutate perché insolite ma che nondimeno esistono a dispetto di codici e rappresentazioni culturali?
Nel suo funzionamento il corpo cerca di compensare le carenze e gli eccessi, di riparare i traumi subiti e di superare al meglio le situazioni di forte stress (acuto e cronico). In alcuni casi non riesce a recuperare e riparare: si sviluppa, inesorabile, la patologia. Il corpo malato si fa sentire maggiormente, chiede aiuto e attenzione, reclama cambiamenti più salubri.

Il modello bio-medico, per definizione, ha fatto del corpo umano (e del suo funzionamento fisico-chimico-elettrico) il tema primario sul quale investire attenzioni ed interventi mirati alla risoluzione di ciò che “non funziona” o è “rotto”, escludendone le sfere psichiche, emozionali e sociali.
L’organismo umano malato è osservato, studiato e misurato senza tener conto di una moltitudine di variabili riconducibili alla biografia personale dell’individuo. Tant’è vero che il professionista sanitario, per svariate motivazioni, è portato, anche dalla sua matrice formativa, ad incontrare una patologia (intesa in senso biologico) piuttosto che una persona con un problema di salute.

Un modello che, ai tempi nostri, sembra ormai riduttivo e che deve far riflettere gli operatori sanitari, tenuti a rispondere ad un preciso mandato sociale: preservare la salute individuale e collettiva. Nuove correnti stanno creando basi solide verso una medicina che ponga maggiore attenzione alla vita globale della persona malata: la medicina secondo il modello “bio-psico-sociale” (Engel 1977). Un’assistenza sanitaria che non tenga solo ed esclusivamente conto della dimensione puramente biologica ma anche delle dimensioni psicologiche, relazionali e sociali ovvero un approccio assistenziale rivolto alla cosiddetta ”esperienza di malattia”.

Una persona malata non è l’espressione materiale di un organismo biologico sul quale intervenire, escludendo a priori la sua biografia ed il periodo di vita che sta attraversando, ma, piuttosto, un corpo “vivente” il quale esprime non solo gli effetti legati alla patologia ma anche bisogni, pensieri, emozioni, abitudini, vissuti personali, piaceri, desideri, parole, azioni. In una visione più olistica il corpo “vivente” è l’attore fondamentale nei processi assistenziali poiché non è la malattia da curare ma bensì l’individuo affetto da un disturbo di salute. Sempre più pazienti richiedono di essere considerati come “un tutto”, reclamando attenzioni terapeutiche che tengano in considerazione la loro storia di malattia e non semplicemente i loro sintomi e la loro diagnosi. Ippocrate sottolineava con fervore l’importanza di intendere il corpo come una “totalità”, concetto essenziale per aiutare le persone sofferenti. E’ il corpo nel suo insieme a “raccontare” e sentire la malattia.

E’ ovvio che una persona malata, agli operatori sanitari, esplicita richiesta d’aiuto verso la guarigione, senza però eludere gli elementi personali che la caratterizzano. Il paziente è il suo corpo, anzi è un “corpo paziente” (Zannini 2004).

Un corpo “vissuto” vive la malattia sulla sua pelle; si è malati somaticamente e psicologicamente. Lo stesso operatore, nell’assistenza, entra in relazione con il proprio corpo “vissuto” sia a livello conscio che inconscio. Se nella relazione d’aiuto si applica il processo di embodiment (cioè il conoscere l’altro e le affezioni del suo corpo attraverso il proprio corpo) si creano i presupposti per la costruzione di efficaci ponti relazionali che, da un lato, possono stimolare il paziente all’autoefficacia e dall’altro indurre l’operatore all’erogazione di interventi maggiormente personalizzati.

Patch Adams è solito invitare medici ed infermieri ad abbracciare i loro pazienti e a organizzare “squadre dell’abbraccio” all’interno dei servizi per far sentire meglio e meno soli i pazienti nella loro esperienza di malattia ma anche per creare atmosfere più gioiose nel proprio ambito lavorativo (Patch Adams 2004).

L’operatore sanitario, nell’ottica della relazione empatica, dovrebbe sperimentarsi con maggiore attenzione nel contatto fisico con il corpo “vissuto” del paziente: dovrebbe introdursi rispettosamente nel suo spazio intimo, ascoltarlo attivamente nei silenzi, toccare il suo corpo e farsi toccare dal suo corpo.

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