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Le “nostre parole”: come gli insegnanti di Biodanza hanno reagito al lockdown

Le “nostre parole”: come gli insegnanti di Biodanza hanno reagito al lockdown

Nell’immediato post-lockdown abbiamo deciso di riflettere sul momento attuale, sui giorni appena vissuti, su quello che Biodanza ha rappresentato per tutti noi in un simile frangente e come ha dovuto, per forza di cose, essere ripensata, nelle settimane della quarantena. Abbiamo perciò proposto agli insegnanti di Biodanza di raccontare la loro esperienza, attraverso un breve questionario che, con le dovute modifiche, è stato poi rivolto ai partecipanti dei loro rispettivi corsi. Le “vostre parole” hanno trovato spazio ogni giorno sulla nostra pagina Facebook. Adesso è giunto il momento di scoprire “le nostre parole”, fare il punto sui mesi appena passati con “lo sguardo dritto e aperto sul futuro”.

Come è cambiata la tua attività di biodanza durante il periodo di lockdown?

L’isolamento e la reclusione sono arrivati come un fulmine a ciel sereno – dice Tiziana Coda – Zabet, co-direttrice della scuola di formazione di Biodanza del Piemonte, fondatrice e coordinatrice didattica della scuola parentale biocentrica La vita al Centro, a Torino - la mia preoccupazione maggiore è stata cercare un modo per contenere il gruppo settimanale. Ovviamente ho immediatamente sospeso le attività in presenza, ma ho cercato di tenere viva la chat del gruppo, con domande, scambi di poesie, di letture e l’invito a interagire maggiormente tra i componenti. Ci siamo sentiti spesso telefonicamente, i nostri legami si sono ancora più stretti”.

Come sottolinea anche Fabrizio Lampugnani, conduttore dal 2005 di gruppi settimanali di Biodanza a Milano e altri centri vicini, lo shock iniziale è stato notevole: “Biodanza è cambiata tantissimo, conduco gruppi in Lombardia, e fin da subito l'attività è stata sospesa”. Dopo un primo momento di spaesamento è avvenuta però la reazione. La priorità degli insegnanti è stata, infatti, quella di preservare la salute dei gruppi, rispettando le norme di contenimento attuate dal Governo. In questo senso è stata subito evidente la volontà di comunicare costantemente con i partecipanti utilizzando nuove modalità e strumenti, come le chat di gruppo e i video.

Così ha fatto Ilaria Casini, facilitatrice di un gruppo da due anni e specializzata in Biodanza con i bambini: “Dopo un primo momento di smarrimento su come continuare a seguire e sostenere il gruppo in questa situazione, ho adottato diverse soluzioni sentendo anche il parere del gruppo. Ho cercato di sostenere il gruppo con messaggi positivi su WhatsApp, spunti meditativi e anche contatti personali per le persone più sole e che sentivo più bisognose di cura”. Un’attenzione nei confronti dei più fragili condivisa anche da Sonia Stella, operatrice Tutor Didatta che da oltre 15 anni lavora nelle scuole di ogni grado con Progetti di Biodanza sociale dedicati alla disabilità: “Ho cercato di sostenere le insegnanti, gli educatori o operatori, con qualche messaggio di presenza formale, ai ragazzi disabili ho mandato alcuni video di saluti molto vitali di arrivederci a presto in presenza”.

Fare di necessità virtù, sfruttando le possibilità offerte dalla tecnologia, ma in ogni modo andare avanti, magari con un passo più lento e intimo, come ci dice Mirjam Boerwinkel, olandese trasferitasi in Toscana e conduttrice di gruppi ad Arezzo: “Durante la quarantena ho continuato a fare Biodanza seppure con durata e modalità diverse ma costante ogni giorno e in modo più intimo, rispettoso, empatico”. Allo stesso tempo è stato utile sfruttare il periodo di sospensione delle attività per riflettere sul ruolo della Biodanza nel momento attuale e confrontarsi sulle metodologie di insegnamento da attuare d’ora in avanti, come suggerisce Silvia Bordo, conduttrice di Biodanza da Finale Ligure: “Ho avuto spazio per interrogarmi sul ruolo della Biodanza in questa nuova situazione: dove molti temi ‘biodanzanti’ (ad esempio il contatto, la relazione, il corpo; l’interconnessione/interdipendenza tra gli umani e tra gli esseri viventi; la necessità di adattarsi, di fluire creativamente; la ricerca dei nostri valori essenziali) venivano improvvisamente percepiti come urgenti per una gran parte di persone, per una società abituata, in precedenza, a trascurarli. In questo senso la mia attività di Biodanza è cambiata: ho riflettuto molto sul nostro metodo, ho contattato altri facilitatori in diverse regioni d’Italia, ho cercato e a volte stimolato il confronto”.

Quale approccio nuovo hai adottato?

Per questa domanda tutti sono stati concordi nell’esplicitare l’importanza che la tecnologia e i social (strumenti spesso suscitano negli insegnanti e nell’utenza sentimenti contrastanti di amore/odio) hanno avuto nel permettere ai vari gruppi di interagire e incontrarsi, seppure un uno spazio virtuale. Nella fattispecie WhatsApp è stato lo strumento più utilizzato per comunicare con i gruppi e condividere scalette, musiche, esercizi e contenuti di vario tipo, mentre la piattaforma di meeting online Zoom si è rivelata centrale per organizzare sessioni di gruppo a distanza. “Nonostante la mia avversione per il virtuale – afferma Tiziana Coda-Zabet - mi sono resa conto che restava l’unica possibilità per vederci e stare in contatto. Così mi sono informata e ho iniziato a usare la piattaforma Zoom, mantenendo gli incontri sempre nello stesso giorno e ora del gruppo. Grande spazio è stato dato alle condivisioni, e via via ho inserito anche alcune musiche per danzare, seguendo la curva delle nostre sessioni, proponendo un movimento attento alla realtà di ognuno, ma invitando a sentire il proprio corpo, a muoverlo con creatività, e terminando sempre con una ronda di sguardi, molto emozionante nonostante le mie perplessità. All’inizio ho fatto qualche pasticcio, poi ho imparato. E devo dire che era così grande il bisogno di vedersi e parlarsi, che ha funzionato!”.

Anche Fabrizio Lampugnani ammette che l’impatto con i nuovi mezzi, inizialmente un po’ complicato, si è poi rivelato efficace: “All'inizio ho avuto difficoltà, per comprendere alcune dinamiche soprattutto tecnologiche, poi sono riuscito a creare incontri di circa 90 minuti che comprendevano una parte teorica su come affrontare il periodo di lockdown e una parte esperienziale. Ho organizzato anche degli incontri sempre online (piattaforma Zoom), gratuiti e aperti a tutti, e nelle settimane di quarantena sono stati ben seguiti (punte di oltre 80 partecipanti da tutta Italia). Ho introdotto anche un messaggio mattutino che chiamo buen risveglio, lo mando tuttora ai gruppi, è un messaggio che invita a iniziare la giornata con una breve meditazione”. L’importanza di iniziare la giornata con un messaggio positivo è stata ribadita da Mjriam Boerwinkel: “Ogni mattina alle 10 si mandava al gruppo un video così che ci vedessero e sentissero vicine. Il video spesso iniziava con filmati naturalistici e proseguiva con la registrazione della consegna, le indicazioni sui movimenti e la musica scelta con grande cura. Mi considero fortunata ad avere un gruppo di 10/14 persone molto attente, coinvolte ed entusiaste, che hanno trovato molto sostegno in questa nostra presenza continua che a sua volta dava anche a me un valido motivo intorno al quale strutturare la mia giornata”.

Creare un appuntamento fisso è stato quindi estremamente funzionale per gli insegnanti, come sottolinea anche Ilaria Casini: “Dopo diversi tentativi quello che ho sentito più utile per il mio gruppo è stato l’invio, tramite WhatsApp di una breve scaletta, nel giorno del settimanale, con consegna vocale e musica di ogni singolo esercizio, da fare individualmente, nel momento della giornata a loro più comodo”. Una modalità analoga è stata attuata da Sonia Stella per una minoranza di utenti che preferivano non connettersi nelle sedute di gruppo “un 10% di allievi preferiva ricevere su WhatsApp la scaletta riadattata con le musiche e consegne e danzavano a casa da soli quando riuscivano. O semplicemente ascoltavano le musiche”. Allo stesso tempo, in generale, gli incontri su Zoom hanno avuto molto successo, “l’uso della piattaforma on line ha funzionato molto bene, erano felici e il desiderio di incontrarci aumentava”.

Un risultato positivo nonostante la difficoltà di alcuni utenti poco avvezzi alla tecnologia: “Mi ha commosso la tenacia con cui partecipanti poco tecnologici (io per prima!) e anche piuttosto anziani si sono sforzati di utilizzare Zoom”, dice Silvia Bordo, la cui testimonianza va oltre raccontandoci il primo incontro che ha tenuto in presenza, dopo il lockdown: “E’ avvenuto in una splendida natura di inizio estate, tra le ginestre e il mare. Abbiamo utilizzato fiori per accoglierci a distanza, foulard distanziatori per un paio di esercizi che richiedevano il contatto delle mani (…). Temevo una frustrazione da mancato abbraccio invece è andata bene così. Ci siamo detti che dopo un lungo digiuno, non ha senso abbuffarsi”.

Per il dopo lockdown, che cosa ti è rimasto di questa esperienza e cosa rimarrà riflesso in modo duraturo nelle tue attività di insegnante?

Nel rispondere al quesito Tiziana pone l’accento su quanto siano precarie la condizione e le libertà degli esseri umani e su come questa consapevolezza sia entrata all’improvviso nelle nostre vite: “Ho pensato sempre a Rolando Toro e a come aveva fatto a espandere Biodanza nella dittatura, e mi sono fatta ispirare da questo pensiero nelle mie scelte. Certo rimarrà una fluidità sempre maggiore, una capacità di adattamento intelligente alle situazioni, un accogliere tutte le diverse letture di questi eventi senza giudizio”. Per Federico nell’immediato futuro bisognerà fare i conti con un effetto collaterale non trascurabile, ovvero la paura: “Sento che è stato inserito un tarlo, che è la paura dell'altro della sua presenza, del corpo e servirà avere un approccio di ascolto e rispetto per chi ha paura, trovare modi ancora più progressivi almeno per le prime lezioni di Biodanza e per chi è alle prime esperienze”.

L’importanza della Biodanza nel cambiare stile di vita e nel conoscere se stessi è stato invece per Ilaria l’aspetto fondamentale emerso nella sua esperienza di lockdown: “Quello che mi rimarrà riflesso in modo duraturo nella mia attività di insegnante è proprio questa consapevolezza dell’importanza di far passare il principio che Biodanza è soprattutto un percorso d’impegno su di sé, un cambiamento del proprio stile di vita, necessario per vivere meglio, in connessione profonda con la vita”. Gli effetti intimi e personali che il lockdown ha fatto emergere negli insegnanti hanno determinato, quindi, un rinnovato approccio nello stile di vita e nel rapporto con gli altri, valorizzando il percorso fatto con Biodanza nel corso degli anni. “Il lockdown ha spinto verso una ricerca di autenticità (nelle relazioni, nello stile di vita, negli obiettivi che mi pongo, nel mio agire) – sostiene Silvia obiettivo che coincide con il percorso di Biodanza che ha trovato qui un banco di prova: fluidità, creatività, connessione con la vita, valore alla relazione, sono risorse coltivate negli anni che nel periodo di confinamento hanno portato frutto. La traccia di questa esperienza rimarrà”.

Pur con tutte le difficoltà affrontate e spesso superate, reinventando sé stessi e la Biodanza, in un periodo di restrizioni e grande preoccupazione, quello che emerge dalle parole delle insegnanti è insomma un valore positivo: “Mi è rimasto un senso quasi di nostalgia per quel periodo – ammette Mjriam così insolito e sensibile con maggiore spazio per i pensieri, considerazioni, creatività, cura per l'ambiente e tempo libero. Mi rimarrà l'esigenza di più lentezza e di maggiore attenzione per le piccole cose, l'ambiente e la Natura intorno a noi”. L’auspicio è quindi che, usciti da un’esperienza che ha costretto ognuno di noi a guardarsi dentro, sia stato gettato il seme di una trasformazione sociale, che dalla profondità di noi stessi, penetri nel mondo migliorandolo. “Mi sono unita tantissimo ai miei allievi – conclude Sonia - ho imparato a conoscerli di più. Ho capito quanto ci tenevano che continuassi e alla potenza del sistema Biodanza. Mettendo in campo la mia fragilità di quel momento, ho dato a loro il modo di vedere una mia parte che molte volte io non faccio vedere, in quella mia fragilità e difficoltà del momento si sono riconosciuti. Quello che mi rimarrà ora è essere ancora di più me stessa, con le mie paure e la mia vulnerabilità senza veli. Capirmi e capire di più l’altro”.

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